La fibrillazione atriale è l’aritmia più frequente e la sua prevalenza aumenta nei pazienti anziani.
Si tratta di un’aritmia cardiaca che origina a livello degli atri e che comporta un’attivazione elettrica caotica ed irregolare di questi ultimi. In genere si manifesta con una frequenza cardiaca (ventricolare) compresa fra 90 e 160 battiti per minuto. Poiché gli impulsi elettrici atriali sono irregolari, anche il battito cardiaco sarà irregolare, oltre che ad elevata frequenza.
La fibrillazione atriale può non essere avvertita dal paziente, che risulta dunque asintomatico; spesso tuttavia si associa a palpitazioni (senso di “cuore in gola”, di “battiti mancanti”), debolezza, “fastidio” al torace, dolore toracico, “fame d’aria”. Raramente si associa a sincope.
La complicanza più temuta della fibrillazione atriale è l’embolia; in corso di fibrillazione infatti gli atri sono “emodinamicamente fermi” ed il sangue che vi ristagna dentro può formare dei trombi, tipicamente all’interno dell’auricola; questi ultimi possono risultare estremamente dannosi poiché possono embolizzare nel cervello, causando un ictus, o in altri distretti, per esempio un arto, determinando un’ischemia critica.
Un’altra complicanza della fibrillazione atriale, soprattutto se duratura e ad elevata frequenza, è lo scompenso cardiaco, poichè il cuore potrebbe “affaticarsi”, ridurre la sua forza contrattile (funzione di pompa) e dilatarsi.
Gli obiettivi della terapia della fibrillazione atriale sono:
1. ripristinare il normale ritmo cardiaco (ritmo sinusale)
2. prevenire lo scompenso cardiaco, riducendo la frequenza cardiaca
3. prevenire il tromboembolismo (ictus cerebri, ischemie)
Ripristinare il normale ritmo cardiaco.
Questa strategia è da riservare ai casi in cui la fibrillazione atriale è avvertita distintamente dal paziente, che quindi è in grado di riferirci con precisione l’orario di inizio dell’aritmia; se sono trascorse meno di 48 ore dall’inizio dell’aritmia, è possibile eseguire la cardioversione (con farmaci e/o con una scarica elettrica esterna) e provare a ripristinare il normale ritmo cardiaco (ritmo sinusale).
Se sono trascorse più di 48 ore dall’insorgenza dei sintomi o se il paziente non è in grado di dare informazioni precise (fibrillazione “non databile”), la cardioversione non deve essere effettuata poiché potrebbe causare embolia; il paziente andrà prima trattato con terapia anticoagulante per alcune settimane e rivalutato successivamente per la cardioversione.
Prevenire lo scompenso cardiaco. In tutti i casi l’obiettivo è la riduzione della frequenza cardiaca con i farmaci, per prevenire l’ “affaticamento” del cuore.
Prevenire il tromboembolismo. Nei pazienti con fibrillazione atriale è necessario avviare una terapia che prevenga la formazione di trombi, cioè una terapia “anticoagulante”.
Per molti anni i pazienti sono stati trattati solo con il Warfarin (Coumadin) o l’Acenocumarolo (Sintrom), due anticoagulanti orali (in compresse) che richiedono prelievi ematici frequenti per controllarne l’efficacia (INR) e per rivalutarne di volta in volta la dose. L’assunzione di Warfarin e Acenocumarolo comporta alcune restrizioni dietetiche, relativamente alle quali si rinvia a DIETA NEI PAZIENTI IN TAO.
Da alcuni anni sono in commercio anche i Nuovi Anticoagulanti Orali (NAO), in ordine cronologico dabigatran (Pradaxa), rivaroxaban (Xarelto), apixaban (Eliquis) ed edoxaban (Lixiana). Questi farmaci hanno mostrato efficacia uguale o superiore al Coumadin nella prevenzione dell’embolia, con un rischio di emorragia inferiore o uguale al Coumadin stesso.
Essi hanno il grosso vantaggio di non richiedere il controllo dell’INR e sono quindi gestibili più facilmente, anche dai pazienti anziani.
I NAO hanno indicazioni molto ampie e, come tutti i farmaci, hanno anche alcune controindicazioni (insufficienza renale severa, insufficienza epatica, “fibrillazione atriale valvolare”, etc); la loro prescrizione, che richiede la compilazione di un piano terapeutico ospedaliero, va discussa attentamente con il Cardiologo di fiducia.
Nei casi di fibrillazione atriale recidivante, una possibilità terapeutica oggi contemplata è l’ablazione transcatetere. Essa consiste nell’isolare elettricamente le zone atriali ritenute origine dell’aritmia, mediante delle piccole bruciature. Si tratta di una procedura invasiva, che va eseguita da personale esperto ed in centri con ampie casistiche e che va riservata a pazienti selezionati (giovani, con numerose recidive nonostante la terapia farmacologica).